Tempio israelitico Torino

NUOVA SISTEMAZIONE SALA DI PREGHIERA E NUOVA TEVÀ (pulpito) - RESTAURO FACCIATE E TORRI

Il nodo problematico da sciogliere, come primo elemento di impostazione delle scelte di progetto, era costituito dall’alternativa tra limitare l’intervento al consolidamento ed alla salvaguardia del monumento, così come si presentava in quel momento, bloccando il processo di degrado e congelando le modanature corrose e le facciate rese grigie dal tempo e dall’inquinamento, oppure misurarsi con il tentativo di restituire una immagine la più vicina possibile a ciò che il Petiti aveva inteso realizzare al suo tempo, alla ricerca di un ragionevole, provvisorio equilibrio tra la ricostruzione di una ipotetica autenticità e la necessità di rileggere l’opera attraverso il filtro dei codici interpretativi e le variazioni d’uso del presente.

Tre considerazioni ci hanno condotti nella direzione della seconda alternativa: in primo luogo l’opera non è così vetusta da apparire estranea alla nostra cultura tecnica e figurativa e, considerando che l’edificio aveva conservato in tutti questi anni la sua funzione originaria, appariva quanto meno incerta la soglia tra il valore dell’opera in quanto testimonianza storico – documentale ed il valore in quanto strumento delle necessità materiali di una componente della società contemporanea; in secondo luogo gli interventi di ricostruzione e restauro che erano stati affrettatamente eseguiti nel dopoguerra e negli anni successivi avevano sensibilmente ed irreversibilmente alterato i caratteri originali dell’opera, che dunque già costituiva la rappresentazione di se stessa; in terzo ed ultimo luogo l’edificio della sinagoga, nel momento in cui ci ponevamo la questione di procedere al restauro, era scarsamente apprezzato dai membri della Comunità Ebraica torinese, che lo considerava sgraziato e tetro, oltre che sproporzionato alle esigenze della ridotta popolazione ebraica torinese. Ci pareva giustificato dunque, in questo particolare caso, mettere in evidenza l’idea da cui era nata l’opera, le intenzioni dell’Autore e quelle dei suoi committenti, o almeno quanto da noi era stato individuato come tale, piuttosto che confermare l’immagine sedimentata dalla storia recente e resa ottusa e sorda dalla consuetudine e dal degrado.

Ciò avrebbe portato, con l’inevitabile quota di arbitrio contenuta nella soggettività della nostra rilettura, a proporre una immagine assai più variopinta ed elaborata, forse addirittura ridondante, di quanto la bomba e cent’anni di intemperie ci avevano trasmesso.

Per questi motivi, definiti gli aspetti tecnici di pulizia, consolidamento e risarcimento delle lacune, che di per sé non presentavano problemi di particolare rilevanza al di là della corretta scelta ed applicazione di metodiche in grado di conservare, per quanto possibile, la percezione delle componenti materiche originali, l’oggetto della progettazione si è trasferito sulla questione del colore come elemento decorativo (complemento), necessario a commentare l’opera e completarne la leggibilità, collocando il manufatto all’interno del linguaggio che storicamente gli è proprio ed evidenziando l’ordinamento formale delle parti che lo compongono. Può essere interessante notare a questo proposito che, mentre nella raccolta di materiale documentario che ha costituito la premessa al progetto di restauro ci è stato possibile rintracciare descrizioni minuziose dei dettagli costruttivi, dei materiali impiegati, dei fornitori e dei costi degli stessi, ben poco testimonianze ci sono pervenute sui colori originali delle facciate, fatte salve alcune parziali e vaghe descrizioni contenute nelle cronache dell’epoca. Per definire le caratteristiche cromatiche di una tinteggiatura esterna il più possibile fedele a quella originale, o quanto meno plausibile e coerente con essa, ci siamo affidati ai frammenti di tinteggiatura ancora leggibili sulle murature, ad una comparazione con edifici coevi e ad una indagine iconografica sulle immagini fotografiche e pittoriche del “Tempio” e di altri edifici in stile moresco realizzati in quegli anni a Torino ed oggi andati distrutti.

NUOVA SISTEMAZIONE SALA DI PREGHIERA E NUOVA TEVÀ (pulpito)
COMMITTENTECOMUNITÀ EBRAICA DI TORINO
PROGETTO DIFRANCO LATTES E PAOLA VALENTINI
PROGETTATO NEL1987
REALIZZATO NEL1988
IMPORTO LAVORI IN EURO
DITTA ESECUTRICEC. FURNO e M. CASELLA ARTIGIANO DELL’OTTONE
ESPOSTO NELLABIENNALE DI VENEZIA 1992
PUBBLICATO IN:F. LATTES, La Sinagoga di Carmagnola, il senso di un restauro, contributo al Convegno Ebrei in Piemonte, Torino, aula del Consiglio Provinciale, 24 marzo 1988                                                                         contributo F. LATTES, Oscillazioni
convegno Oltre la linea… dell’avanguardia, Dipartimento di Progettazione Architettonica della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, 13 – 14 marzo 1990 – pubblicato in E. CALVI (a cura di), Oltre la Linea…dell’avanguardia , Milano, Guerini 1992
DESCRIZIONEIl tempio era stato sventrato da bombe alleate durante la guerra e ricostruito nell’immediato dopoguerra con tecnogie moderne. La perdita delle decorazioni e dei materiali originari ha determinato grandi problemi di acustica della sala. All’interno, per ovviare alla pessima acustica della sala e adeguarla alle esigenze di una comunità sempre più ridotta, senza alterare i caratteri architettonici dell’edificio, l’intervento si limita agli arredi: una nuova Tribuna per l’officiante, interamente in legno, da collocare al centro della sala e un diverso orientamento dei vecchi banchi, ora rivolti verso la nuova tribuna, hanno permesso di risalire a ritroso il percorso verso la disposizione tradizionale delle sinagoghe piemontesi.
RESTAURO FACCIATE E TORRI 
COMMITTENTECOMUNITÀ EBRAICA DI TORINO
PROGETTO DIFRANCO LATTES E PAOLA VALENTINI
CONJANNOT CERUTTI
DIREZIONE LAVORIPAOLA VALENTINI
PROGETTATO NEL1989
REALIZZATO NEL1990/1993
IMPORTO LAVORI IN EURO486.000,00
DITTA ESECUTRICEIMPRESA GONNET
ESPOSTOBIENNALE DI VENEZIA 1992

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