Sinagoga Mondovì

RESTAURO DELLA SALA DI PREGHIERA E DEL MATRONEO

La Sinagoga di Mondovì è stata ricavata all’interno di un edificio preesistente, all’ultimo piano, e, come nella maggior parte delle sinagoghe di ghetto, non vi è alcun elemento che riveli la sua presenza all’esterno. La sala conserva la disposizione originaria a pianta centrale con i banchi rivolti verso la Tevà, fulcro dello spazio liturgico.

La Sinagoga sorge in Mondovì Piazzo, nella parte alta dell’abitato, da dove domina il territorio circostante, all’interno dell’isolato dove trovava collocazione il ghetto.

Quest’ultimo venne istituito nel 1724, a seguito delle disposizioni regie di Vittorio Amedeo II, e collocato nella parte alta della città. Esso si trovava nella contrada di Vico, nella zona centrale, accanto alla confraternita di Sant’Antonio, in difformità dalla consuetudine di allontanare gli Ebrei dai luoghi di culto e dalle abitazioni dei cristiani. Il ghetto di Mondovì, a differenza di altre località, pare non fosse chiuso da cancelli.

La Comunità monregalese ha origine dopo la seconda metà del ’500, e ha rappresentato all’epoca un riferimento per gli ebrei residenti nelle vicine località (Carrù, Bene Vagienna, Dogliani, Vicoforte, Fiamenga e Ceva). La Comunità ebraica di Mondovì non è mai stata numerosa, e ha raggiunto l’apice nella seconda metà del XIX secolo con circa duecento unità, per poi diminuire progressivamente negli anni successivi ed estinguersi alla fine del secolo scorso.

Dall’androne, salendo oltre le abitazioni dei piani inferiori, si arriva in una piccola sala di preghiera a pianta quadrangolare. Il pavimento si compone di doghe lignee disposte ad ottagoni concentrici. Lungo le pareti si distende una singolare decorazione a trompe l’oeil che simula una architettura di colonne, archi e velari. Al centro si leva una preziosa Tevà ottagonale, in legno, con il coronamento sostenuto da otto colonne provviste di capitelli corinzi dorati. L’Aròn ha Qòdesh è posto sul lato orientale della sala, in maniera tale che volgendo verso di esso lo sguardo si fissi la direzione di Gerusalemme. L’Aròn è interamente in legno dorato, impreziosito da due colonne tortili che incorniciano il candelabro a sette braccia (Menorà), finemente scolpito a bassorilievo sulle antine. Al centro del timpano superiore sono collocate le Tavole della Legge. Innanzi all’Aròn scendono dal soffitto otto lumi, originariamente ad olio. Due finestre ai suoi lati provvedono all’illuminazione naturale, aprendosi su di una loggia splendidamente affacciata sulle morbide colline del monregalese.

Uscendo sul ballatoio si trova un piccolo sgocciolatoio, che probabilmente alimentava il bagno rituale delle donne (Mikvè), del quale non è tuttavia rimasta alcuna traccia. Accanto alla sala di preghiera si dispongono il matroneo posto in comunicazione con la sala da due finestre, e un’auletta scolastica, luogo di istruzione per i giovani della comunità. Quest’ultima è allestita con una lavagna, alcuni banchi, un tavolo e un armadio.

L’edificio denuncia un ampliamento in corrispondenza dell’auletta e del loggiato, probabilmente edificati per accogliere gli ambienti accessori alla sala di preghiera, quando fu stabilito che ai piani inferiori sarebbero state ospitate le famiglie ebraiche raccolte all’interno del ghetto.

L’intervento di restauro ha cercato di individuare nelle tecniche lo spazio per far convivere esigenze diverse, a volte apparentemente contrastanti: rendere sicuro ed efficiente l’involucro edilizio, ricostruire e preservare i valori percettivi originali dell’opera e, insieme, mantenere avvertibile la suggestiva presenza della storia.

Così è stata ricostituita l’integrità pittorica della decorazione della sala, intervenendo in sottotono nelle lacune dove il degrado degli intonaci era ormai diffuso e irreversibile, in modo da equilibrare il rapporto tra le diverse superfici; è stata mantenuta traccia dei sondaggi effettuati mediante indagine stratigrafica, che rivelano la presenza di una decorazione precedente a quella fissata dal restauro; è stata ricostruita la volta in cannicciato del matroneo, utilizzando le tecniche originali.

La chiusura della loggia, resa necessaria per evitare ulteriore degrado dell’Aròn, è stata realizzata con una sottile struttura in ferro e vetro, unico segno evidente e deliberato delle modifiche recenti, che mantiene leggibile la leggerezza del disegno degli archi e del parapetto esistenti.

L’intervento di restauro è stato realizzato intorno al 1990 su progetto degli architetti Franco Lattes e Paola Valentini.

COMMITTENTECOMUNITÀ EBRAICA DI TORINO
PROGETTO DIFRANCO LATTES E PAOLA VALENTINI
DIREZIONE LAVORIPAOLA VALENTINI
PROGETTATO NEL1993
REALIZZATO NEL1993/1999
IMPORTO LAVORI IN EURO270.000,00
ESPOSTO
PUBBLICATO IN:F.Lattes P.VALENTINI Parole oggetti immagini e architetture delle sinagoghe piemontesi – 2007 – Allemandi ed. – catalogo della mostra MONOGRAFIA
DESCRIZIONEL’intervento di restauro ha cercato di individuare nelle tecniche lo spazio per far convivere esigenze diverse, a volte apparentemente contrastanti: rendere sicuro ed efficiente l’involucro edilizio, ricostruire e preservare i valori percettivi originali dell’opera e, insieme, mantenere avvertibile la suggestiva presenza della storia.
Così è stata ricostituita l’integrità pittorica della decorazione della sala, intervenendo in sottotono nelle lacune dove il degrado degli intonaci era ormai diffuso e irreversibile, in modo da equilibrare il rapporto tra le diverse superfici; è stata mantenuta traccia dei sondaggi effettuati mediante indagine stratigrafica, che rivelano la presenza di una decorazione precedente a quella fissata dal restauro; è stata ricostruita la volta in cannicciato del matroneo, utilizzando le tecniche originali.
La chiusura della loggia, resa necessaria per evitare ulteriore degrado dell’Aròn, è stata realizzata con una sottile struttura in ferro e vetro, unico segno evidente e deliberato delle modifiche recenti, che mantiene leggibile la leggerezza del disegno degli archi e del parapetto esistenti.